Embrioni di laboratorio per salvare specie protette

Gli embrioni di laboratorio possono assicurare la continuità di specie altrimenti destinate all'estinzione, come ad esempio il rinoceronte bianco settentrionale
Embrioni di laboratorio per salvare specie protette
Francisco María García

Scritto e verificato l'avvocato Francisco María García.

Ultimo aggiornamento: 27 dicembre, 2022

Il progresso scientifico ci offre la possibilità di salvare diverse specie a rischio di estinzione. La creazione di embrioni di laboratorio grazie alla tecnica di fertilizzazione in vitro è la dimostrazione chiave di come tecnologia e natura possono diventare grandi alleati.

In questo articolo scopriamo l’utilizzo di embrioni di laboratorio per salvare le specie protette. Una tecnica che può essere di aiuto per gli animali gravemente in via di estinzione.

Gli ultimi tre esemplari di rinoceronti bianchi settentrionali

Nel 2015 fece notizia in tutto il mondo il lavoro di un gruppo di ricercatori che si occupò di esplorare il campo della fecondazione in vitro allo scopo di salvare dall’estinzione il rinoceronte bianco. Ai tempi dell’esperimento, in tutto il pianeta erano rimasti in vita appena tre esemplari, che abitavano nel parco Ol Pejeta in Kenya.

La popolazione dei rinoceronti bianchi ha subito nel corso degli anni un drastico calo di esemplari a causa del bracconaggio. A peggiorare il quadro, il tasso di natalità della specie è estremamente basso. Per questo motivo il tentativo di far nascere esemplari in cattività attraverso la riproduzione sessuale non ha mai avuto successo.

Tornando al caso dei rinoceronti in Kenya, dopo oltre sei anni di permanenza nel parco, non si era registrata nessuna nuova nascita. Ecco perché i ricercatori cominciarono a ragionare sulle possibilità riproduttive degli ultimi tre esemplari in vita.

Perché usare embrioni di laboratorio per salvare il rinoceronte bianco?

I risultati degli esami di fertilità non lasciarono speranze, confermando che nessuna delle femmine poteva essere fecondata in modo naturale. Inoltre, Sudan, l’unico maschio sopravvissuto, aveva dimostrato di avere problemi agli spermatozoi.

Najin, la femmina più vecchia, non poteva avere rapporti sessuali perché aveva le zampe anteriori troppo deboli, mentre Fatu, figlia di Najin e femmina più giovane, soffriva una degenerazione progressiva dell’utero che le impediva di rimanere incinta.

Rinoceronte bianco in un parco

L’impossibilità di arrivare alla riproduzione per via naturale costrinse i ricercatori a considerare le tecniche di riproduzione assistita. La possibilità, cioè, di generare embrioni di laboratorio attraverso la fecondazione in vitro.

Come si creano gli embrioni in laboratorio?

La fecondazione in vitro (FIVET) è una tecnica di riproduzione assistita ampiamente utilizzata in casi di sterilità o infertilità. In parole povere, la tecnica consiste nel combinare i gameti sessuali del maschio e della femmina non all’interno del corpo della femmina, ma in laboratorio.

Professionale esperto unisce gli ovociti della femmina con gli spermatozoi del maschio, con l’obiettivo di riprodurre la fecondazione in maniera artificiale. Il processo si compie in un ambiente acquoso e liquido che favorisce la fecondità dei gameti.

Un processo non semplice che richiede a priori un accurato controllo ormonale del processo ovulatorio delle femmine. Solo così è possibile identificare il momento perfetto per prelevare gli ovociti dalle ovaie e liberarli poi nell’utero.

Gli ovociti sono cellule germinali femminili che, a seguito di un processo di maturazione, danno origine all’ovulo. O meglio, ad un ovocito, un precursore dell’ovulo maturo.

Prelevandolo prima della sua completa maturazione, si alzano le possibilità di riprodurre in maniera efficace la fecondazione in un ambiente controllato. In genere, l’ovocito fecondato viene impiantato nell’utero materno per ottenere la gravidanza.

Rinoceronte bianco, esempio dell'uso di embrioni in laboratorio per salvare le specie dall'estinzione

 

Com’è possibile realizzare la fecondazione in vitro nei rinoceronti bianchi?

I ricercatori, per riuscire a salvare la specie, dovettero affrontare una sfida ulteriore. Sudan, l’unico maschio sopravvissuto, morì nel maggio del 2018 all’età di 45 anni. Fortunatamente, l’equipe aveva congelato diversi spermatozoi prelevati da Sudan e da altri maschi già deceduti.

Adattando la tecnica di fertilizzazione in vitro già utilizzata per i cavalli, i ricercatori ottennero i primi embrioni di laboratorio ibridi di rinoceronte bianco. Per favorire questo processo, tuttavia, utilizzarono ovociti di femmine di rinoceronte bianco meridionale, la cui specie conta ancora oggi all’incirca 20.000 esemplari a livello mondiale.

Ma non è tutto. I ricercatori riuscirono a isolare linee cellulari originali, delle stesse caratteristiche delle cellule embrionali, partendo dai blastociti (embrioni pre-implementazione) dei rinoceronti meridionali.

La riproduzione in laboratorio, lo stato delle cose oggi

Ad oggi, gli scienziati si dedicano all’ottimizzazione della raccolta e congelamento degli ovociti raccolti dalle ultime due femmine di rinoceronte bianco settentrionali esistenti. La speranza è riuscire a fecondare in vitro gli ovociti raccolti con gli spermatozoi dei maschi estinti.

Allo stesso tempo, la ricerca sta esplorando la possibilità di utilizzare femmine di rinoceronte bianco meridionale in sostituzione di quelle settentrionali. Una volta ottenuti gli embrioni di laboratorio, ci sarà bisogno di una femmina con un utero in grado di gestire con successo una gravidanza in modo da dar origine a nuovi esemplari.

La fecondazione in vitro potrebbe essere, come sembra, la salvezza per il rinoceronte bianco settentrionale, così come per tante altre specie a rischio di estinzione.


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